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Dio (religione greca)
Il termine con cui in lingua greca antica si indica genericamente un dio è theós (θεός; pl. theoí Θεοί). Se l'equivalenza tra l'italiano e il greco antico è questa, tali termini si differenziano però nei loro significati. Già Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff aveva evidenziato come il termine theós non dispone in greco antico del vocativo, osservazione dirimente se prendiamo in considerazione l'importanza del culto in questa religione. Infatti con il vocativo vengono indicati esclusivamente i nomi propri degli Dei. Károly Kerényi osserva in aggiunta che theós possiede la funzione di predicato, chiarendo che «è specificatamente greco dire di un evento: "È theós!». Kerényi cita ad esempio Euripide che in Elena fa sostenere che «O dèi! Perché è dio quando si riconoscono i propri cari.». Theós è quindi l'irrompere dell'"evento divino" (theîon θεῖον). E tale "divino" è, per la concezione religiosa dei Greci, nota Walter F. Otto:
Come ha acutamente evidenziato  Jean-Pierre Vernant gli dèi greci non sono persone con una propria identità, quanto piuttosto risultano essere "potenze" che agiscono assumendo poliedriche forme e segni non identificandosi mai completamente con tali manifestazioni. Gabriella Pironti ricorda a tal proposito l'Anabasi (VII, 8, 6-1) di Senofonte (430-354 a.C.) il quale si trova in condizioni di difficoltà economiche perché pur avendo onorato Zeus Basileus (Re) si è dimenticato di onorare Zeus Melichios (termine che evoca il miele) collegato alle fortune familiari e quindi economiche.

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